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  • Immagine del redattore: Antonietta Pistone
    Antonietta Pistone
  • 1 nov 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

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Parte prima


Analisi della paura


In Metamorfosi della Paura, Roberto Escobar prova a comprendere il fenomeno sociologico dell’esclusione che colpisce l’immigrato, come categoria sociale. Il filosofo inizia la sua analisi dal concetto di appaesamento in de Martino, come esso viene rappresentato nel racconto del pastore di Marcellinara in La Fine del Mondo. La storia narra di un pastore calabrese, che viene fatto salire in macchina da lui e alcuni suoi collaboratori, allo scopo di fornire indicazioni utili al percorso, per rintracciare una strada che quelli avrebbero dovuto seguire. Il pastore comincia a manifestare evidenti segni d’ansia, man mano che dalla vista del gruppo scompare il campanile del paese. De Martino formula, a questo proposito, l’ipotesi dello spaesamento, che produce la percezione dello smarrimento nel pastore, quando egli si allontana dalla visuale del suo borgo natio. Il pastore, difatti, si rasserena solo quando finalmente vede riapparire all’orizzonte il campanile di Marcellinara. Lo stare al mondo, per dirla con l’espressione utilizzata da Heidegger in Essere e Tempo, corrisponde, per de Martino, alla ricerca di un appagamento e di un equilibrio, tra sé e l’ambiente. Una sorta di incontro fusionale tra uomo e natura, o storia, che fa sentire a casa. L’allontanamento dai luoghi cari, che conservano una memoria affettiva, spezza, invece, quel legame atavico con le radici, provocando lo spaesamento. Si tratta della geometria sentimentale di cui scrive nei Saggi di Filosofia e di Vita lo spagnolo Jose’ Ortega Y Gasset . Così come viviamo nell’epoca dello sradicamento emotivo, provocato dai conflitti, dalle guerre, dalla perdita dei posti di lavoro, e dai licenziamenti, esistiamo nello spazio oltre i confini, nella dimensione dello spaesamento. Si tratta della condizione tipica dell’immigrato, che vive la contraddizione di un mondo aperto, e senza frontiere, nel quale persistono, però, ancora, di fatto, le vecchie opposizioni nord-sud, est-ovest, già storicamente vissute all’epoca della Guerra Fredda, tra i paesi del Patto di Varsavia e del Patto Atlantico. La caduta del Muro di Berlino, nell’89, ha costruito un mondo senza confini. Ma davvero possiamo parlare di un mondo multipolare e globalizzato, in cui tutte le divisioni precedenti siano state, di fatto, superate? Il presente vive la contraddizione del glocalismo ; del limes contro l’abbattimento delle frontiere, e la costruzione di un mondo aperto. Mentre lo spettro della paura si agita dentro l’uomo occidentale, anche osservando lo spropositato accrescimento demografico degli immigrati nei confronti dei popoli europei. Lo straniero è vissuto ancora attraverso lo stigma della categoria amico-nemico. L’hostis è xenos. E il sentimento che si agita nei confronti del nemico non può che essere l’odio. Perché l’amore è riservato all’amico. E il morire del nemico, dello straniero, corrisponde alla possibilità del nostro sopravvivere. Il mondo multipolare della globalizzazione si presenta, così, attraverso le categorie della contrapposizione dentro-fuori; amico-nemico; noi-loro; amore-odio; pace-paura. Generando un “noi contro di loro” che esaspera le differenze, producendo l’isolamento della categoria del nemico. La ghettizzazione che si genera è nei luoghi che testimoniano apertamente questo isolamento: i lager, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quando si era giunti alla “soluzione finale”; i manicomi, prima della legge Basaglia, che emarginavano il malato di mente, perché pericoloso, e imbarazzante, per la civiltà delle persone normali. Dalla ghettizzazione all’eliminazione il passo è breve, e si verifica, storicamente, con il genocidio del capro espiatorio (Indios, Ebrei, Armeni, Slavi, Rom, e via dicendo). Si produce, così, l’eliminazione del rivale, da riva, colui che sta sul fronte opposto. Colui dal quale un confine mi separa. Perché è il confine che crea il Barbaro. Il suo peccato non è tanto nell’aver oltrepassato quel confine, portandone al di qua la minaccia, quanto piuttosto nell’aver profanato quei limiti, che costituiscono le sacre Colonne d’Ercole del peccato di hybris. Il mito di Prometeo, che inganna Zeus per donare il fuoco agli uomini, è un altro peccato di superbia. E indica la strada che supera il limes, invalicabile ed inviolabile dal profano. Per Gehlen , l’uomo è un essere non specializzato, che ha sostituito la natura con la cultura, per sopperire alla mancanza di specializzazione e di istinto. La cultura diventa, qui, il simbolo di quel fuoco rubato agli dei da Prometeo. Essa è lo iato, il progetto, il futuro possibile, contro la legge della natura, che rappresenta, invece, l’istinto, la nicchia biologica, la negazione della Storia. Il limite è la porta, che demarca il territorio, segnandone il confine. Ciò che divide un dentro, il domestico, il domi, dal fuori, l’estraneo, il foris. Il limite non è per l’animale. Esso è fatto per essere superato dalla specie umana. Il limite è il symbolon - ciò che unisce - della cultura, delle istituzioni, dell’ordine pacificante, che si erge a difesa contro il diabolon - ciò che divide - del suo opposto. Il migrante, perciò, è l’incarnazione del male, dello spaesamento, della rottura degli argini, del superamento dei confini. Come ogni diversità che non si addomestica, che rifiuta di irreggimentarsi, fa paura, spaventa. Come l’Ebreo, il folle, la strega, il migrante destabilizzano, perché rompono, spezzano, invadono, entrano, sporcano. Bisogna, perciò, innalzare muri, dietro i quali proteggersi dall’invasione della promiscuità. Donde la funzione stabilizzante del rito, che custodisce il sacro, contro chi vuole demolirlo e distruggerlo, attirandosi maledizioni eterne dall’Alto. E dell’istituzione, che fonda il senso del limite, costruendo la stabilità, ma, al tempo stesso, realizzando anche una metamorfosi della paura, nei confronti di tutto quanto possa rappresentare un tentativo di superare quella stessa asfissia dell’ordine, quando esso venga fanaticamente esasperato. Perché, in questo caso, essa impedisce al nuovo di strutturarsi, come orizzonte del possibile. Nella sua analisi in Massa e Potere, Elias Canetti interpreta le due masse che si contrappongono, in funzione dell’affermazione dei loro reciproci confini, che rafforzano le differenze identitarie, vissute come inequivocabili appartenenze culturali. L’assedio implica il superamento del limes, la cui esperienza rimane comunque un’affermazione di certezza, e il cui oltrepassamento rappresenta l’infrangersi dell’ordine, costituito dalla frontiera stessa. L’ordine, che non è dato, ma difeso, ed è alimentato dal sospetto. L’ordine interno è garantito dalla coesione del gruppo che sceglie, fuori, il suo nemico. Elemento del radicamento, il domi, e dello sradicamento, il foris, avrebbe detto Simone Weil . L’altro è colui del quale temiamo la somiglianza, donde lo stigma e il pregiudizio. Il prezzo della paura della differenza è trovare il colpevole, l’untore, l’eretico, la strega, l’Ebreo, l’immigrato, lo straniero, il Rom, l’infedele, l’omosessuale, il folle. Si tratta di un prezzo che non si paga, ma che viene fatto pagare, dove la diversità si accompagna all’odio, che progressivamente sostituisce l’amore, nelle relazioni sociali. Tutto questo forma l’immagine del Grande Nemico, mentre diffonde la malattia dei confini, del limes, dove campeggiano il campanile, la bandiera, i filosofi stanziali e appaesati, con le loro intramontabili certezze, ma incapaci di scorgere il nuovo, il varco, l’apertura, anche ideale, oltre la porta. Questi uomini stanziali vivono ogni confine come un limite. Laddove i viaggiatori lo interpretano come una soglia, oltre la quale vagabondare, per distruggere e creare, anche attraverso l’inquietudine e il movimento, che generano vita. Dalle catene del radicamento, vissuto in modo fanatico, come sola espressione del proprio sé, ci salvano i molti che sono nell’uno, la possibilità come categoria dell’esistenza, la radice del potuto e del potere, la libertà come concreta determinazione del poter-essere, attraverso i confini, nonostante i confini, che uniscono, oltrepassandoli, il simbolico della certezza, al diabolico dello spirito dell’avventura. “I veri creatori sono duri”, scrive Nietzsche in Così Parlò Zarathustra. Perché per essere creatori, bisogna avere la forza di rompere con il passato. Sisifo , e il suo mito, diventano, così, il simbolo della ricerca senza fine, e della sua umana imperfezione. Egli è il filosofo che trova nuovi, insospettati confini, al di fuori dei limiti imposti. Ripetendo sempre la stessa azione. Nella salita la verità diventa certezza, conquista. Nella discesa, si fa scivolamento senza garanzia, baratro dell’errore e dell’oblìo. Ma è proprio quando il gigantesco masso comincia la sua veloce ricaduta, nello scivolamento verso il basso, che Sisifo trova riposo, che si pacifica col suo corpo, perché ora dovrà correre in discesa, e con la sua mente, perché ha capito che nessuna conquista umana è “per sempre”. Anche se si agita nella ripetizione di un gesto sempre uguale a se stesso. Ed è in quell’iterazione senza fine, ed apparentemente senza significato alcuno, che risiede il vero, sta la vita, prende corpo l’esistenza. Come in un andare e venire senza posa, sempre identico a se stesso, che spezza l’immobilità dell’essere parmenideo, proiettando la vita nel suo divenire, cui soltanto i creatori, in quanto ricreatori per l’eternità, riescono a dare significato pieno. Sisifo si scorda del passato, lo cancella nel momento stesso della sua conquista, precisamente quando il masso riprende la sua discesa folle verso il basso. Ed, instancabilmente, ricomincia, la sua stessa follìa, sempre uguale, sempre quella, perché priva di memoria. Senza uscirne. Come fa il mago, creando nel bene; come la strega, agendo nella perversione del male. Allo stesso modo si comportano i filosofi, quando hanno il coraggio di varcare le Colonne d’Ercole. Ma è proprio allora che il mondo civile, la società della ragione pedissequa, e paga di sé, necessitano di punirli, bruciarli, eliminarli. Come accadde a Giordano Bruno. Come sarebbe accaduto a Galilei, se non avesse abiurato la tesi sull’eliocentrismo della moderna concezione del cosmo. Lo si fa per mettere a tacere la paura. Per sconfiggere il terrore dello spaesamento. Per darsi l’illusione di tornare a casa, alle proprie certezze, indenni, e senza grandi scossoni. L’immunità ha però, spesso, un alto prezzo da pagare. E sedersi, accomodandosi, nelle preconcette verità, è solo uno dei tanti modi per sopravvivere all’angoscia, senza domandarsi ancora.

  • Immagine del redattore: Antonietta Pistone
    Antonietta Pistone
  • 28 ott 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

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In memoria di mamma Anna...


Sono trascorsi sette mesi da quando non ci sei più. Ma il tuo ricordo è presente e costante ogni giorno.


Manchi, anche se ti respiro attorno a me sempre. Ieri ho trovato, tra le pagine di un quaderno, il diario della memoria che avevi iniziato a scrivere nel novembre del 2019. Negli ultimi tempi avevi difficoltà a ricordare eventi ed appuntamenti, ed io ti avevo consigliato di prendere appunti. Un'abitudine che io già coltivo da anni, ma nuova per te.


Il tuo diario è stato breve. Inizia il 15 novembre e si conclude il 26 dello stesso mese. Ti ricordi perché, mamma? Perché subito dopo iniziava la pandemia e saresti venuta a vivere da me, per il tuo ultimo anno di vita, prima della caduta accidentale, che ti avrebbe portata via per sempre da questa casa, e da me...


Oggi voglio ricordarti così, insieme a me, come in questa foto. Stretta nel mio abbraccio protettivo e amorevole, come sempre ti ho abbracciata, nel tentativo di proteggerti, da quando non c'era più papà a farlo. Tu, così indifesa e fragile, io più combattiva e forte, almeno in apparenza...


In questa foto eravamo felici. Tu stavi ancora benino e, soprattutto, eri ancora indipendente e autonoma. Ma, come vedi, non mancava occasione per incontrarci e stare insieme, anche per cose belle, come appuntamenti culturali, convegni, presentazioni di libri.


Mi capita spesso di ripensare a quando si usciva insieme per fare compere. Un giro per i negozi in centro, qualche spesa, e poi il ritorno a casa. Generalmente ti fermavi a mangiare da me, e poi rientravi a casa tua il pomeriggio.


O quando si andava a fare un weekend in montagna, o un viaggio in giro per l'Italia. Tante volte bastava qualche giorno di lontananza da casa, per cambiare aria, come si dice, e rinfrancarsi dalla routine del quotidiano.


Faceva bene ad entrambe staccare la spina per un po'.


Ed era rassicurante avere un'amica sempre disponibile e pronta ad assecondarmi. Non mi dicevi mai di no. E quando hai cominciato a negarti è iniziata anche la discesa, lenta ma inesorabile.


Tra qualche giorno c'è la commemorazione dei defunti. Eravamo solite andare a trovare i nonni e papà al cimitero, finché te la sei sentita. Negli ultimi anni stavi sempre poco bene. E avevamo abbandonato questa familiare consuetudine, restando a casa, nei giorni di festa.


Quest'anno, per la prima volta, passerò a trovare anche te...e mi sembra impossibile che soltanto l'anno scorso stavi bene, e adesso non ci sei più. Sarà difficile passare lì davanti al marmo freddo senza poter superare il confine, il muro che già quando eri ricoverata, per i tuoi ultimi giorni di vita, ci è stato brutalmente imposto, da una medicina disumana e senza cuore, che dovrebbe essere bandita dal concetto di cura.


Perché la cura, mamma, è qualcosa che alcuni medici, dall'alto della loro presunta scienza infusa, ancora non hanno appreso.


L'umanità non la si studia da nessuna parte. Ma si radica nell'esistenza propria di ciascuno. O ce l'hai dentro, o te l'ha insegnata la vita. Ma non c'è un professore che possa spiegartela a lezione, all'università. Fosse pure un luminare.


Tu, invece, l'umanità l'hai saputa insegnare a me. E di questo non smetterò mai di esserti riconoscente. Perché, più di tutto, mi hai lasciato in eredità la tua fragilità, e la sua memoria. Doni preziosi per sentirmi via, ed esserlo davvero. Non un vuoto simulacro tra la gente. Ma una donna che vive, sente, soffre e lotta perché profondamente innamorata dell'umanità e delle sue debolezze.


Grazie per esserci stata sempre!


La tua bambina, che non smette di amarti...

  • Immagine del redattore: Antonietta Pistone
    Antonietta Pistone
  • 18 set 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

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Il Comportamento Magico (Wip, Bari, Settembre 2021) è una sintesi storico-filosofica e psicologica del fenomeno magico, inteso come tecnica di affidamento e di salvezza, che parte dalla definizione della parola "magia" per descrivere le sue possibili declinazioni in magia bianca, verde, grigia, rossa, nera e blu. Attraverso una carrellata storica, nel tempo, vengono presentate le varie forme e tipologie di magia utilizzate dai popoli, dal più lontano passato fino all'attualità dell'oggi, e sono presi in considerazione gli aspetti più filosofico-teorici del pensiero magico, utilizzato come tecnica pratica di controllo della realtà e come affermazione di potere sul mondo, mettendo in luce la differenza intercorrente tra magia, religione e pensiero scientifico. I "comportamenti magici" esprimono tradizioni, usi, costumi, ma anche pregiudizi delle popolazioni, e costituiscono, pertanto, vere e proprie tecniche di sopravvivenza dei popoli, ma anche stati patologici o più direttamente correlati e correlabili a quella che l'etnologo Ernesto de Martino ha definito, nei suoi studi, "miseria psicologica" di certa gente del Mezzogiorno italiano. Lo studio condotto propone un'interpretazione finale della magia che, a parere dei due autori del testo, è malattia e cura terapeutica ad un tempo, a seconda di quale sia l'uso che, del comportamento magico, se ne voglia fare. I riferimenti scientifici, storico-filosofici, etnologici, sociologici e psicologici, agli autori presi in esame, sono plurimi e tutti degni di nota, perché trattasi di lavori prodotti da autorevoli studiosi e da ricercatori di primissimo piano, nelle loro discipline. Il Comportamento Magico è, per questi motivi, un libro attuale, che si propone al lettore attraverso suggestioni originali e nuove. Da leggere e da conoscere per le svariate possibili chiavi ermeneutiche che suggerisce negli ambiti entro i quali dispiega la sua ricerca. Il testo è disponibile online, in formato ebook, e in versione cartacea a stampa Gli Autori

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Antonello Bellomo è Professore Ordinario di Psichiatria presso l’Università degli Studi di Foggia. Docente di Psichiatria, Psicologia Clinica e Storia della Medicina in vari corsi di laurea e di specializzazione. Direttore del Dipartimento di Salute Mentale ASL FG Provincia di Foggia. Direttore del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura OORR Policlinico di Foggia. Autore di 246 articoli su riviste nazionali e internazionali, libri ed atti di congressi. Autore di 202 abstracts su riviste ed atti di congressi. Autore di 5 monografie come autore principale. È stato per due volte Presidente della Società Italiana di Psichiatria Sociale. Attualmente è consigliere della Società Italiana di Psichiatria e Presidente della Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale. Ha pubblicato Il Virus nella Mente per le edizioni Wip di Bari nel luglio 2020.



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Antonietta Pistone è nata il 23 novembre del 1966 a Foggia, dove tuttora vive e risiede. Insegna storia e filosofia presso il liceo scientifico G. Marconi della sua città. Amante della scrittura in tutte le sue forme, cura la redazione di diversi blog amatoriali online, occupandosi di comunicazione, scuola, storia, filosofia, poesia e cucina. Scrive per gazzettaweb, ed è esperta di giornalismo e comunicazioni di massa. È vicedirettore della rivista bimestrale Pianeta Cultura edita dalle Edizioni del Poggio di Peppino Tozzi. È counselor della relazione e si occupa anche di counseling educativo e scolastico. Ha già pubblicato due libri di poesie, Autunno Lento (2003), per le Edizioni Del Rosone; e Stelle d’Acqua (2008), con la Casa Editrice Italiana Bastogi. E alcuni testi di filosofia: Teoresi e Prassi delle Scienze Umane (2009), sul tema dell’individualizzazione e della didattica, per la Casa Editrice Italiana Bastogi; Filosofia, Appunti di una Rubricista (2010), e Considerazioni su La Politica di Aristotele (2011) per le Edizioni del Poggio di Peppino Tozzi. Un suo lavoro, Le Sfide del Futuro (2014), è stato edito da Petite Plaisance, associazione culturale e casa editrice di Pistoia. Per la stessa casa editrice ha realizzato anche un e-book disponibile online dal titolo Il Filosofo e la Città (2014). Ha firmato la presentazione de Il Virus Nella Mente, scritto da Antonello Bellomo, e pubblicato per le Edizioni Wip di Bari nel mese di Luglio 2020. I suoi interessi giornalistici spaziano dalle questioni legate ai problemi ambientali, alle tematiche sociali che riguardano l'integrazione degli immigrati bianchi e di colore, e al sessismo razzista nei confronti delle donne, fino alla violenza e al femminicidio. Per contattarla potete scriverle all’indirizzo antonietta.pistone@gmail.com



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