Dietro la Porta
- Antonietta Pistone
- 9 giu
- Tempo di lettura: 9 min

di Giucar Marcone
Prefazione al testo
Dietro la Porta è l'ultima pubblicazione in ordine di tempo di Giucar Marcone. Un libro di poesie che rappresenta un sogno di libertà, che si fa omaggio al futuro: a quello del tempo storico che è il tempo della vita e che si fa spazio dell'esistenza, e a quello dopo la morte, che varca il confine delle certezze per donare l'imponderabile attesa di una vita che si auspica non sia soltanto tutta qua. Le poesie rivelano l'animo di un poeta maturo e di un uomo sensibile, che ha vissuto e che si porta dietro il rammarico per il tempo ormai andato e a volte non pienamente afferrato, ma anche la nostalgia malinconica per quanto di bello ha provato nella sua vita. Un po’ come fare un bilancio impietoso di ciò che è stato, per volersi accomiatare con la coscienza tranquilla di aver fatto almeno il possibile per lasciare una traccia al suo passaggio nei libri e negli scritti, ma anche nelle persone che ha amato e che sono ancora in vita, perché molte di quelle se ne sono già andate via per sempre lasciandolo solo con i suoi ricordi. Giucar Marcone affronta in questo libro molti temi della vita come l'amore per la donna amata, la prima moglie scomparsa a causa di una malattia, della quale egli prova una nostalgia struggente. Il poeta non riesce in nessun modo a dimenticarla e questa donna è sempre presente nella sua interiorità, nei suoi pensieri più riposti, nei ricordi. Questo però non gli impedisce di andare avanti: Giucar ama ancora, ama di nuovo, e trova anche nel presente una donna che sa dargli la mano, che sa porgergli la sua spalla, che sa dargli quell'abbraccio che è ancora simbolo di un amore ritrovato. Giucar non resta fermo al passato, egli si spende per vivere la vita nel presente, ma soprattutto per costruire un futuro. Un futuro che è dietro la porta, del quale non si può sapere cosa sia esattamente, così come non si può sapere se dietro la porta dell'aldilà ci aspetta la vita eterna o se tutto finisce con la morte terrena. Allo stesso modo, dietro la porta è quel futuro che non abbiamo ancora vissuto, che ci attende dopo il presente, che per ora Giucar ha la curiosità di vivere, la curiosità di conoscere, mentre è completamente proiettato verso questa dimensione del futuro, desideroso di amare, desideroso di fare pace con se stesso e con la propria coscienza. E il tema della pace è un altro argomento molto importante di questo libro, che ritorna costantemente nelle poesie dedicate alla guerra. Guerre e conflitti, disgrazie terribili che mortificano il mondo attuale, e che secondo Giucar dovrebbero finire al più presto, perché la guerra lascia dietro di sé soltanto la desolazione, lo strazio e la distruzione, e spezza le radici dell'uomo nel passato, nel presente, e in qualche modo cancella il futuro. Quindi il tema della guerra è inevitabilmente connesso al tema della pace. Poi c'è quello della natura, altro problema sociale e politico molto urgente ai nostri tempi. La natura spesso viene deturpata o viene semplicemente turbata, come egli dice nella poesia in cui parla delle pale eoliche che in qualche modo cambiano la geografia e l'aspetto dei nostri territori più belli dei Monti Dauni e delle zone collinari, che ormai a vista d'occhio rappresentano un mare di pale eoliche dove la natura fa da sfondo e non è più la protagonista. L'uomo dovrebbe recuperare un autentico rapporto con se stesso in simbiosi con la natura. Il rispetto della natura, e in fin dei conti il rispetto dell'uomo per se stesso, è ovviamente rappresentato nell'uomo che ama, che desidera la pace. E quest’uomo non può non avere amici. E questi amici di Giucar sono tutti amici veri, non perché egli li veda costantemente nella sua vita quotidiana - molti di loro non ci sono più - ma perché con questi amici lui ha potuto stringere sodalizi intellettuali. La virtù dell'amicizia come la descrive Aristotele riesce a riportare in superficie il meglio di ciascuno di noi e Giucar si è abbeverato alle fonti della saggezza dei suoi amici editori, poeti e artisti, addirittura scrittori di teatro, docenti universitari, tutti amici e intellettuali che lui ricorda in una sua poesia in particolare con molta malinconia, con molta nostalgia, perché sicuramente queste amicizie gli hanno lasciato una grande eredità. Ma, purtroppo, questi amici sono scomparsi e quindi il poeta si sente solo. E questo senso della solitudine lo porta a trattare un altro tema profondamente importante dell'esistenza umana, che è quello della morte. Non si può parlare della vita senza parlare della morte, perché purtroppo l'uomo è destinato alla morte. La sua esistenza è breve, è un'esistenza caratterizzata dal passaggio su questa terra, delimitato tra il momento della nascita, del venire alla luce, dell'iniziare a vivere, e quello della morte. Il tema della morte è ricorrente nella silloge perché il poeta ormai maturo sente che comunque la sua vita per la maggior parte è trascorsa e quindi è come se egli volesse fare un bilancio della sua esistenza, e questo lo porta a riflettere sulle amicizie che se ne sono andate per sempre, sull’amatissima moglie che non c'è più. Il tema della morte si collega poi inevitabilmente anche al tema del tempo che non abbiamo in forma illimitata. Noi esseri umani abbiamo un tempo finito e soprattutto non sappiamo quanto tempo abbiamo, e quindi dobbiamo fare costantemente i conti con l'incertezza dell'esistenza, di questo presente che stiamo vivendo, ma anche di quel futuro che c'è dietro la porta. Di esso non sappiamo ancora precisamente nulla: cosa ci attende nella nostra vita terrena, perché il futuro non ci è dato di conoscerlo, e nemmeno in quella dopo la morte, perché non sappiamo se ci sarà un prosieguo di questa vita oppure se tutto finirà con il punto che la morte metterà alle nostre esistenze terrene. Quindi il tempo diventa una dimensione esiziale importantissima di questa raccolta di poesie, perché è proprio lo spazio che è destinato all'uomo di vivere. Ed è proprio nella poesia Speranze che mi sovviene Proust Alla Ricerca del Tempo Perduto. Le speranze sono quelle che si affacciano nei bilanci della vita ormai trascorsa, nei quali ci si accorge di non avere a volte speso bene il proprio tempo, e quindi di non aver vissuto appieno. ma di essercisi crogiolati in illusioni, in speranze tardive. Ecco, questa dimensione dell'illusione, di attesa, del sogno e della veglia torna anche molto spesso nelle poesie, perché il poeta se da un lato ama sognare dall'altro lato molto spesso si costringe a vivere. Perché pensare non è vivere e perché è giusto vivere piuttosto che pensare. Un altro tema ricorrente, che io direi si sposa molto bene con questa dimensione del tempo, della riflessione, della nostalgia, è quello dell'infanzia di Giucar, che torna spesso nei luoghi della sua vita, della sua esistenza, di Poggio Imperiale. Torna spesso nel ricordo del nonno, nel ricordo dell'ultracentenaria di Poggio Imperiale, che rappresenta un po’ la storia del paese. E torna anche quando questo passato viene ricordato con una sorta di nostalgia, non solo per il tempo ormai andato, ma soprattutto per quel modus vivendi che rappresenta quel passato e che oggi non esiste più, che oggi sembra completamente bypassato da un progresso, da una civiltà, da una tecnologia che non sempre sono meritevoli di rappresentare una vera e propria forma di evoluzione umana. In quanto spesso, per esempio, nelle relazioni si è perso il gusto del dialogo, dell'incontro faccia a faccia con la presenza dell'altro. Giucar fa questo bilancio sul tempo, sulla vita, sull'esistenza umana, ma anche su quei ritmi lenti della vita del passato, anche attraverso le memorie della guerra, e degli sfollati. In alcuni luoghi - come ad esempio Motta Montecorvino – il tempo è ancora scandito dal rintocco delle campane, proprio come avveniva una volta. Il poeta si rende conto che bisogna incominciare a riflettere sul presente, su quello che è stato, che è stata la sua vita, ma è stata anche in qualche modo la storia dell'umanità, precaria e fragile, che deve fare i conti con il limite, con la malattia, con la morte, ma che può scegliere tra il bene e il male. E Giucar si chiede come sia mai possibile che l’uomo scelga il male la maggior parte delle volte. Scelga la guerra piuttosto che la pace o l'amore. E tutto questo lo porta proprio a concludere con due riflessioni importantissime. Una sul coraggio di osare, perché osare è vivere, e chi non varca il confine delle proprie certezze, della propria comfort zone, non può dire di aver vissuto pienamente la sua propria esistenza. Viene in mente la figura dell'emigrante, che osa di andare lontano, di abbandonare quel poco che ha, nella speranza di trovare un futuro migliore. Ma è possibile anche un'altra riflessione sull'uso del tempo, che è per esempio quella che fa Seneca nel De Brevitate Vitae in cui scrive che la vita è breve, e che per questo va vissuta pienamente. Ma non tutti purtroppo spendono il proprio tempo in maniera dignitosa e decorosa e quindi molti giungono alla morte come se non avessero vissuto davvero, come se avessero vissuto passando solo sulle cose, sulla loro storia, senza essere mai approdati alla verità. Una verità che non si conquista attraverso il lavoro inteso come fatica, tanto che anche il tema delle morti bianche è un tema segnalato in queste poesie. Perché la vita vissuta in maniera monotona, il quotidiano vissuto in questo modo, rappresenta una gabbia per l'uomo dalla quale Giucar vuole fuggire assolutamente, lasciandosi dietro anche la solitudine che in qualche modo si accompagna con questa vita quotidiana, nella quale il senso non c'è perché non viene nemmeno ricercato. E allora ecco che è importante fuggire verso la natura, perché anche la vista del mare d'autunno, con tutto il suo incantevole fascino dell'incontaminato, prima dell'arrivo dell’estate successiva può, col suo solitario silenzio, destare nell'animo umano delle riflessioni più mature e più consapevoli sul destino e sul senso della vita. Quando invece Giucar guarda a tutto quello che ha fatto l'uomo all'ambiente, agli altri, a se stesso, dal punto di vista della cura della natura, di cui non si è fatto punto carico, ma sulla quale ha impresso delle ferite, degli abusi vandalici, ecco allora che, nonostante tutta questa nostalgia, al poeta viene di ricordare proprio la morte di Cristo in croce e il sacrificio da Lui fatto per redimere l'uomo, che se guardato dalla prospettiva dell’oggi sembra, non sia servito a nulla perché in fin dei conti l'umanità è allo sbando. E quella storia in qualche modo è costruita non solo nei documenti, negli scritti, ma potremmo dire nel territorio, nella pietra, come accade quando il poeta osserva le cave di Apricena, in cui esalta la pietra come antologia del passato che scrive la storia della terra di Puglia. In questo paesaggio disegnato dalla presenza delle cave, la terra parla di noi e parla di noi dal punto di vista del territorio, della geografia, di come noi l'abbiamo ridisegnata, ma anche dal punto di vista sociale. Oggi le nostre terre sono occupate dagli immigrati i quali si affidano a questi viaggi della speranza che però spesso diventano anche viaggi della morte, su barconi troppo affollati che si inabissano nel Mediterraneo, facendo dei nostri mari immensi cimiteri acquatici. E qui il tema della morte si accompagna alla riflessione sul mese dei defunti. A Novembre ci sono alcune giornate dedicate alla visita dei cimiteri, e questi morti che nessuno ricorda per tutto il resto dell'anno, per cui i cimiteri sono generalmente vuoti e silenziosi, si popolano di luci, di fiori, di presenze anche rumorose, chiassose, soltanto in quei giorni nei quali sembra quasi che tutti si vogliano ricordare dei defunti per poi dimenticarseli per tutto il successivo anno dal giorno dopo. Un'altra piaga della nostra contemporaneità, che fa dire a Giucar che forse Gesù Cristo è morto in croce invano, è il grido che il poeta innalza contro il femminicidio: una ferita dei nostri giorni che si ripete nelle cronache con sempre maggiore frequenza, ma che nello stesso tempo rappresenta proprio un inno alla libertà, alla dignità di tutte le donne, così come di ogni altro essere umano. Ecco che allora dietro la porta c'è il dopo, quello che ancora non è dato di vedere e di scorgere agli umani. Dietro la porta c'è il futuro, con le sue incertezze ma con la sola unica certezza della morte, che pone fine ad ogni vita. E allora dietro la porta dopo la morte cosa c'è? Il nulla? O è dato ancora di sperare perché la vita possa avere un senso che si compie nell'altrove, nell'aldilà? Questa è la grande domanda metafisica ed esistenziale che attraversa per intero questo libro in ogni sua pagina. Cosa resta quindi del vivere? Resta l'amore, l'affetto, la relazione con l’altro. Il gusto di vivere la vita pienamente, intensamente, senza perdere il proprio tempo, perché non sappiamo quanto ne abbiamo ancora. Resta l'amore per i luoghi, non soltanto come nostalgia dei tempi andati, ma anche in quanto rappresentazione del presente della propria vita e della realtà. Se una delle prime poesie viene dedicata proprio al tema della malattia e della vecchiaia, abbiamo la possibilità di addolcire il nostro tempo attraverso i libri, che sono comunque nostri grandi amici silenziosi. Abbiamo la possibilità di continuare ad amare, e di continuare a coltivare, attraverso la nostalgia dei tempi andati, un rapporto solido con le radici dei luoghi che abitiamo. Nella poesia intitolata Biccari traspare l'amore per un luogo antico, sito sui Monti Dauni, dove l'autore ha la sua dimora di pace. E questo amore si fonde con l'amore per tutti i siti incantevoli, nei quali la natura vive ancora intatta ed incontaminata, che però sono purtroppo abbandonati dai loro figli più giovani, spesso costretti ad emigrare nelle grandi città del nord per trovare un posto di lavoro, lasciando il paese natio con la stessa nostalgia che proverebbero se si stessero allontanando dalla loro propria madre. Resta il presente, resta il vivere pienamente il tempo che ci è dato, perché solo questo può dare senso al passato e rendere vivo il futuro. Grazie Giucar per questo bel lavoro, che in qualche modo ci invita a riflettere ancora una volta sul senso della vita e dell'esistenza in un mondo nel quale si vive come capita, senza farsi più domande, senza più poesia.
Antonietta Pistone
Foggia, 21 aprile 2025
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